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CAPITAN HARLOCK-Una recensione di Cristiano Brignola

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Puntata del 31/03/2007  Un asteroide nero che si schianta sulla Terra. Un primo ministro che risolve ogni problema rigirandosi nel suo letto e nascondendosi sotto le lenzuola, escludendo ogni problema che non riguardi le sue partite a golf. Un’invasione aliena occulta e strisciante, condotta da donne che bruciano come carta. E, infine, una ciurma di […]

Puntata del 31/03/2007 

Un asteroide nero che si schianta sulla Terra. Un primo ministro che risolve ogni problema rigirandosi nel suo letto e nascondendosi sotto le lenzuola, escludendo ogni problema che non riguardi le sue partite a golf. Un’invasione aliena occulta e strisciante, condotta da donne che bruciano come carta.

E, infine, una ciurma di pirati spaziali pronti a tutto per affermare la propria libertà.
Queste sono le premesse per un classico della letteratura a fumetti giapponese, Capitan Harlock di Leiji Matsumoto (Planet Manga-Panini Comics). Il malinconico pirata Harlock, che scruta gli spazi neri e infiniti del cosmo, è diventato una vera icona fin dalla sua creazione, nel 1977. Ma… in realtà il capitano è esistito nella mente del suo autore molto tempo prima di questa data, seppur con nomi e ruoli molto diversi. In una delle prime opere di Matsumoto è Capitan Kingstone, un bucaniere inglese; in un fumetto successivo diventa il Dottor Harlock e successivamente un pilota tedesco della Seconda Guerra Mondiale. E’ solo nel 1970 che per la prima volta fa la sua comparsa un ufficiale da un occhio solo, il cui pianeta natale è stato conquistato dalla Federazione Terrestre. Attraverso successive incarnazioni (tra cui perfino una western, in cui è un intrepido pistolero), Harlock è via via arrivato a essere il cupo e riflessivo pirata che tutti conosciamo, senza un occhio e con una vistosa cicatrice sul volto, fiero di esibire il simbolo del Blackjack.

Harlock incarna l’anima libera della pirateria, senza padroni, senza obbedienza ad alcuna bandiera o legge che non sia la propria. La sua nave spaziale, l’Arcadia, è un luogo in cui ogni membro dell’equipaggio vive nella massima libertà individuale, ma si responsabilizza di colpo ogni volta che la sicurezza di tutti è minacciata in qualche modo. Molto più che in altre opere, è ben resa l’idea della “fratellanza??? all’interno della ciurma. L’Arcadia stessa è anche molto di più di un vascello per Harlock: in essa è racchiusa e rivive – una sopravvivenza a metà tra scientifico e mistico – l’anima di colui che la progettò, Tochiro, il miglior amico del capitano stesso.

Il rapporto di Harlock con la sua nave è, a suo modo, emblematico di tutta l’atmosfera del fumetto: benché decisamente non manchi l’azione, quello a cui viene più dato risalto è lo spazio della memoria, dell’immensità in cui ci si perde, dei silenzi e dell’introspezione, delle amicizie perdute e ritrovate, entrambe da onorare allo stesso modo. Proprio per questo, a differenza della serie televisiva, il fumetto di Harlock non ha una fine. La guerra tra Harlock e gli invasori spaziali, le donne che bruciano come carta, non finirà e saremo noi lettori a immaginarne la conclusione. L’ultima tappa che l’equipaggio dell’Arcadia fa nel fumetto, è sul pianeta Heavy Meldar dove le spoglie di Tochiro sono sepolte. È una sosta in cui lui e i suoi uomini si rilassano e si fanno prendere dai ricordi dei loro amici, prima della battaglia finale con le loro nemiche. Come finirà questa battaglia, non è importante. Ciò che importa è ribadire che si combatte per qualcuno, anche se quel qualcuno non c’è più, o anche se coincide in tutto con se stessi e i propri ideali. 

A cura di Cristiano Brignola

 


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