Settimanale avventuroso di letteratura
Ricerca Nel Blog Di Mompracem:
Commenti players
Pagine
Categorie
Archivi
Commenti del giorno

maggio: 2008
L M M G V S D
« Apr   Giu »
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  
Sottoscrivi
Preview Image

INTERVISTA A FOLCO QUILICI

di

Ancora su I miei mari di Folco Quilici a cura di Giulia Gadaleta  I miei mari è un romanzo-non romanzo, una testimonianza della sua lunga esperienza di viaggiatore, di sub, di scrittore e di regista. Da che esigenze è nato? La ringrazio di questa definizione, pare anche a me,  però è anche un romanzo vero, nato dal […]

Ancora su I miei mari di Folco Quilici

a cura di Giulia Gadaleta 

I miei mari è un romanzo-non romanzo, una testimonianza della sua lunga esperienza di viaggiatore, di sub, di scrittore e di regista. Da che esigenze è nato?
La ringrazio di questa definizione, pare anche a me,  però è anche un romanzo vero, nato dal desiderio di riunione
in un unico racconto l’esperienza di un uomo, che è per sua natura una storia sola, svoltasi in un arco di tempo molto lungo, di più di cinquanta anni. Riunisce molti episodi di cui avevo già parlato che erano sparsi come racconti isolati, avevo tentato di metterli insieme in un unico lungo racconto e la particolarità del libro è che vi sia allegato un dvd che si specchia nel libro e viceversa, sono opere dello stesso autore e raccontano le stesse vicende, con un approfondimento letterario nel caso del libro e in modo spettacolare e basato sulla verità delle immagini nel caso del dvd.
I miei mari sembra rivelare che lei ha sempre preso minuziosamente appunti durante la sua esperienza di documentarista, sub e regista. E’ così?
Io ho via via scritto per le riviste, per i giornali, ho scritto sempre delle cose che si intrecciavano nella mia vita, ma la cosa curiosa è stata che dalla memoria sono scaturiti tanti episodi, tante avventure vere e proprie che non avevo mai narrato, tante vicende, tanti personaggi e tanti momenti che non avevo mai narrato.
Si può dire allora che I miei mari le ha permesso di trasformare in materia narrativa storie che non sono finite nei suoi documentari, né nei suoi romanzi né nei suoi saggi?
Sì, la struttura generale, i viaggi in Polinesia, l’Amazzonia, i relitti, l’archeologia subacquea sono tutti temi che avevo affrontato nel tempo, però nel riunirli insieme mi sono reso conto che tra l’uno e l’altro c’erano degli episodi che li saldavano l’uno con l’altro e così è venuta fuori non una raccolta di tante avventure ma un’unica grande avventura.
Lei ha sempre affiancato al lavoro di viaggiatore, di regista e di sub quello di scrittore: che ruolo ha la scrittura nella sua vita?
Beh, se usassi il cronometro potrei dire che è molto di più il tempo e l’impegno nello scrivere che non nel filmare: intanto per preparare i servizi che lei ricordava ma anche perché per filmare occorre scrivere tanto, preparare un soggetto sviluppare una sceneggiatura, quando il film è finito scrivere i testi, scrivere i dialoghi, il commento: se dovessi fare un conto su cento ore settanta vanno per scrivere e trenta per fotografare e filmare.
Lei cita spesso Stevenson e Verne, che rapporto ha con la letteratura d’avventura e con Salgari in particolare?
Salgari è stato la bibbia della mia giovinezza da quando sono stato ragazzino anche perché mio padre -che era direttore di giornale a Ferrara- ebbe ospite e mi presentò il figlio di Salgari. Poi lo spunto dei libri mi dava la voglia di sapere di più sugli argomenti che Salgari trattava nel suo romanzo: la storia della pirateria nei Caraibi e tutte le vicende di navigazione anche legate alla ricerca dei relitti dei galeoni, legandosi al mio lavoro successivo sott’acqua. Ancora più stimolante della epopea dei corsari è tutto il ciclo di Sandokan e della Malesia dell’India con Tremal Naik per cui diverse volte sono tornato sull’argomento anche lavorando, per esempio in una delle puntate che feci sull’India (erano dieci film) uno di questi era dedicato alle foci del Gange ed era legato alle pagine che avevo letto che portai con me mentre filmavo e che commentai sul come fossero tutte avventurose ed esatte le descrizioni. Invece fu una grande delusione la mia ricerca un po’ infantile dell’isola di Mompracem, già iniziata da ragazzino sugli atlanti che mio padre aveva in studio. Ma quando sono stato navigando nei mari intorno al Borneo, Giava, Sumatra, l’area dei racconti di Mompracem, beh Mompracem non l’ho mai trovata…
Salgari ha descritto i luoghi del Borneo e dei Caraibi con inevitabile esotismo: come ha potuto stimolare un viaggiatore come lei?
Hanno stimolato tutti i miei primi viaggi perché c’erano degli spunti, il rapporto ad esempio tra l’uomo e il mare. Il coraggio dell’uomo in mare, che è un elemento comune di tutte le storie che Salgari racconta: il mare è protagonista tanto quanto Sandokan o il corsaro nero. La molla di partenza dopo aver letto Salgari è stato proprio il voler vedere, rivivere, trovare un parallelo tra quello che avevo letto e quello che vedevo: devo dire con grandissima sorpresa -dato che Salgari là non era mai stato- che ho scoperto che le suggestioni che avevo letto da ragazzo le ritrovai vive navigando in quei luoghi… le correnti, i venti sono quello che sappiamo, però fondamentale per conoscere un mare è conoscere la gente che si muove in quel mare. E Salgari, che indubbiamente non era un marinaio e non era un capitano di lungo corso come sono stati altri romanzieri di fine ottocento, ha saputo raccontare quella che era la forza d’animo, la conoscenza e il coraggio degli uomini di mare.
In I miei mari è centrale il rapporto dell’uomo con il mare. Dalla sua posizione di osservatore privilegiato, cosa è cambiato in positivo e in  negativo del rapporto tra uomo e mare?
In negativo e in maniera irrimediabile è cambiato l’uomo di mare, ci sono adesso marinai che lavorano in una grande porta-container o una grande petroliera per settimane e mesi e il mare mai lo vedono: c’è questo distacco che nella storia della tradizione del rapporto uomo-mare è un danno enorme sul quale non si può più fare nulla, i sistemi di pesca non sono più quelli… nello spazio brevissimo proprio di questi cinquanta anni che io ho vissuto, ho visto svanire, nel Mediterraneo così come nei mari d’oriente e sulle coste americane, tutto il patrimonio di conoscenze della pesca e della navigazione: prima tutto era ancora ad un livello molto umano, si era nelle mani di un timoniere, nell’occhio di un navigante, oggi è tutto sostituito dalla macchina, sotto certi punti di vista significa maggiore sicurezza maggiore tranquillità, però si sono cancellate di colpo duemila anni di esperienze… un Salgari non potrebbe rinascere per raccontare qualcosa di simile…
Di positivo in questi ultimi anni in tanti mari del mondo e particolarmente nel Mediterraneo c’è la sensibilità dell’uomo nei confronti del degrado del mare: il degrado c’è ancora, è molto grave e continua ancora però a differenza di cinquant’anni fa che si accettava quello che accadeva, adesso c’è una reazione molto forte in tutto il mondo contro la contaminazione da materie velenose.
Come è cambiato il nostro rapporto con il mare, secondo lei?                                                                                                                               Il mare è questo gigante immenso e sconosciuto per l’uomo fino a centocinquanta anni fa, con il quale si azzardavano dei tentativi di amicizia ma quasi sempre si trattava di  reciproco scambio di violenza. Mentre oggi penso, proprio grazie alle immagini dei film della televisione, che le generazioni crescono con una grande ammirazione per il mare e quindi c’è da augurarsi che tutto quello che è stato l’offesa al mare, le ferite al mare, degli ultimi anni, saranno riparati nei prossimi decenni dalle generazioni che vengono dopo di noi.
Ne I miei mari  lei riprende vicende che le hanno ispirato anche romanzi, ad esempio Yemanja, la dea-sirena del Brasile: che cosa scatta in lei, in che modo una vicenda documentata diventa motivo di un romanzo?
È sempre difficile dire perché nasce un amore e si sposa una donna, nasce un felling e poi si rafforza… uno viaggiando e lavorando di storie ne sente molte, forse quella che mi ha più colpito è stata quella di Tanai cioè questo ragazzo che perdeva la strada per tornare alla sua isola nell’oceano pacifico: una storia che ho sentito per più di un anno mentre ero in Polinesia negli anni cinquanta e da cui negli anni settanta sono riuscito a fare il film Oceano. La storia di Cacciatori di navi nasce dalla sorpresa etnologica ed etnografica davanti ai riti alle credenze e alle feste in onore di Yemanja che avevo conosciuto facendo un lavoro in Sudamerica e venendo a conoscenza della storia di questa goletta che aveva vissuto questa avventura, storia sulla quale c’era chi credeva nelle magie positive e negative di Yemanja e vedeva in lei la protagonista, così l’ho raccolta e l’ho adattata ad un romanzo, riuscendo secondo me a raccontarla molto meglio nel romanzo che con il film, le storie magiche sono difficili da trasmettere nella volgarità dell’immagine, mentre con la parola si riesce, mi sembra, meglio a far capire come una realtà magica si possa fondere con la realtà fisica.
C’è un passo in cui lei racconta di un’altra storia al confine tra realtà e leggenda: di una parete rocciosa a Lampione che avrebbe ospitato equipaggi nemici cristiani e arabi per proteggersi dalla tempesta e in cui ciascuno di loro vede incisa nella roccia un’immagine religiosa. E conclude dicendo che quel che conta “è che, favola o cronaca, la si continui a narrare e ci si creda”.
In questo mondo sembra che tutto si riduca a un conto di dollari o quanti siano i fucili o le bombe… due mondi che sono da mille anni ostili (a parte delle parentesi) e che adesso si affrontano -più che ideologicamente- per problemi della pesca: poche settimane fa è stato liberato un peschereccio che era stato sequestrato dai libici e tenuto sotto sequestro per quasi un anno e questo è successo a tante marinerie europee che vanno a pescare nelle acque territoriali del mondo arabo affacciato sul Mediterraneo… che insomma ci sia un punto dove la favola e la credenza dei pescatori da una parte e dall’altra ritenga di vedere delle immagini sacre accostate che sono un segno di pace anziché un segno di guerra mi sembra una bella storia da raccontare.
      
  
    


Comments are closed.